La Seta

Convegno e Mostra a Marostica

Apuntozeta  
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la Seta

Convegno 23 ottobre 2010

Dalla Via della Seta nella Cina di

Marco Polo e Matteo Ricci

alla lavorazione serica nel Pedemonte Veneto

Seta, il filo d’oro dal Celeste Impero alle Terre Venete


Mostra 23 ottobre - 7 novembre 2010


Per informazioni: Biblioteca tel. 0424-479102

e-mail: biblioteca@comune.marostica.vi.it






Convegno

23 ottobre 2010 - Castello Inferiore, sala consiliare - ore 9.00




Dalla via della seta nella Cina di Marco Polo

e Matteo Ricci, alla lavorazione serica nel

Pedemonte Veneto

Saluto del Sindaco, Gianni Scettro, e delle Autorità

Coordinamento : Maria Angela Cuman e Luigi Fontana

L’avventura di Marco Polo

Giorgio Cracco, Istituto per le ricerche di

Storia sociale e religiosa di Vicenza

Il cristianesimo sulle vie del mondo: Matteo Ricci

Annibale Zambarbieri,Università di Pavia

Il tesoro della Comunità. La lavorazione della seta

nell’Italia e nella pedemontana dell’età moderna

Edoardo Demo,Università di Verona

Torcitoi e filande nel distretto integrato

di Marostica e Bassano

Francesco Vianello,Università di Padova

Gelsicoltura e produzione serica

nella Marostica dell’800

Antonio Muraro, Istituto per le ricerche di Storia sociale e

religiosa di Vicenza

coffee break

Veneto, capolinea Ovest della Via della Seta

Adriano Madaro, Consiglio direttivo permanente

dell’Accademia Cinese di Cultura Internazionale

Patrimonio tecnologico della seta

Flavio Crippa, Associazione Italiana per il Patrimonio

Archeologico Industriale

ore 16.00

Seta, il filo d’oro dal Celeste Impero alle Terre Venete:

presentazione della mostra

Francesca Rodeghiero e Francesca Xausa,

Associazione Culturale Mondo Rurale


La mostra propone inoltre:

proiezione di filmati sulla seta;

video Vie, prodotti e città ... dell’antica Cina, cl. 2a E

Scuola Media di Crosara e l’Ass. Cul. Marostica Archeologia;



il video a cura degli allievi della Scuola media statale di Crosara, in collaborazione con l'Associazione "Marostica Archeologia" verrà proiettato alle ore 16.




Mostra

23 ottobre-7 novembre 2010 - Castello Inferiore, sala consiliare



Seta, il filo d’oro dal Celeste Impero alle Terre Venete

Attraverso pannelli fotografici, attrezzi, reperti,

ricostruzioni di ambienti, manufatti, vengono trattati

i seguenti temi:

· la via della seta

· l’allevamento dei bachi nelle case contadine

· il gelso e l’alimentazione del baco

· dalle uova del baco al filo di seta

· vocazione manufatturiera del territorio marosticense

· i mulini alla bolognese per la trattura della seta

· imprenditori della Podesteria di Marostica fra il 1500 e il 1700

· filande e ciclo produttivo

· diffusione delle filande nel Pedemonte Vicentino


La mostra propone inoltre:

proiezione di filmati sulla seta;

video Vie, prodotti e città ... dell’antica Cina, cl. 2a E

Scuola Media di Crosara e l’Ass. Cul. Marostica Archeologia;

tessuti, disegni e manufatti in seta: allievi del Liceo

Artistico di Nove e dell’Ist. Prof. Scotton di Breganze;

trattura della seta con l’esperto Massimiliano De Marchi

(23-24-31 ottobre e 7 novembre ore 16.30);

laboratorio con i bachi da seta in collaborazione con le

Scuole Primarie del territorio e la Comunità Montana;

visite guidate (prenotazione tel. 0424 72127)

Apertura: 10.00-12.00 / 15.00-18.00 - chiuso il lunedì



Concerto

23 ottobre - Castello Inferiore, sala consiliare - ore 16.30


Cantar da maggio: stagioni dell’anno e della vita

I cantori di Marostica e La scuola di danza di G. Galvanelli

Partecipazione di Laura Primon - Mario Scanagatta - Michele Geremia




Annullo Filatelico


Castello Inferiore, entrata sala consiliare - ore 9.00-12.00 / 16.00-18.00

in collaborazione con il Circolo Filatelico Marosticense


Attività Collaterali


10 ottobre - Via della ceramica - ore 6.30

Visita guidata a Comacchio e Ravenna

in collaborazione con l’Ass. Culturale Marostica Incontra


26 ottobre - Biblioteca - ore 16.00

L’architettura delle case contadine per

l’allevamento dei bachi da seta e il gelso

(moraro) nel nostro paesaggio

Rel. Attilio Bertolin, Ass. UCIIM

Visita guidata alla mostra - ore 17.00

Rel. Francesca Rodeghiero, Ass. Culturale Mondo Rurale


30 ottobre - Ex-Chiesetta San Marco - ore 16.00

Careghete done....la memoria del passato

nei libri di Luigi Meneghello

in collaborazione con le Ass. Culturali

AIMC - Marostica e Luigi Meneghello – Malo


3 novembre - Ex-Chiesetta San Marco - ore 20.30

Leggere ...viaggiare Letture, suoni ed immagini

in collaborazione con l’Ass. Culturale Insieme per leggere e il

Gruppo musicale Ker L’ Evrith


5 novembre - Ex-Chiesetta San Marco - ore 20.30

In viaggio

in collaborazione con le Ass. Culturali La Fucina Letteraria

e Guido d’Arezzo


7 novembre - Viale della stazione - ore 8.30

Visita guidata ad ex-filande nel Trevigiano e

al Museo del baco da seta di Vittorio Veneto con

escursione a Serravalle

in collaborazione con l’ Ass. Culturale Marostica Archeologia


16 n ovembre - Viale della stazione - ore 15.00

Visita guidata al Museo della serica di Malo

in collaborazione con il Comune di Malo e l’Ass. Cuturale

Cultura e Vita



La via della seta, suggestiva denominazione coniata dal geografo e

geologo tedesco Ferdinand von Richtofen nell’introduzione all’opera

Tagebücher aus China, edita a Berlino nel 1907, è costituita da una

serie di percorsi fra l’Occidente e l’Oriente che univa la Cina al Mediterraneo.

Un canale di idee e culture che dall’età classica sin quasi

al presente prende l’avvio dal Medio Oriente per dirigersi a Bagdad,

proseguire per Samarcanda e Bukhara, aggirare a nord o a sud il

deserto del Taklamakan e quindi raggiungere il Celeste Impero. Fu

l’attrazione esercitata dalla seta, tessile costosissimo e ricercato, la

cui origine rimase a lungo avvolta nel mistero, ad aprire la strada

al commercio di spezie, profumi, metalli preziosi ed altre merci rare

dell’Oriente. Grazie ai viaggi di avventurosi mercanti i romani vennero

a contatto con la seta, che chiamarono “serica” perché lavorata

dal lontano popolo dei Seri, com’erano allora chiamati i Cinesi. Attraverso

quello stesso percorso il buddismo penetrò in Cina durante il

primo secolo dopo Cristo. La via della seta, 8.000 chilometri di itinerari

terrestri, fluviali e marittimi sui quali si snodarono i commerci

tra l’Occidente e l’Impero Cinese, cominciò il suo declino con l’apertura

del più rapido percorso marittimo per le Indie che, attraverso il

periplo del continente africano, consentiva di eliminare i molti intermediari

che si frapponevano tra i produttori asiatici ed i consumatori

europei. In un turbinio di storie affascinanti, di leggende, avventure,

incontri e scontri tra individui, società e religioni, la via della seta

appare come un orizzonte aperto, un ponte gettato tra civiltà e culture

diverse, un’arteria vitale non solo per gli scambi commerciali, ma

pure per la circolazione di idee, che ancor oggi, nell’era della globalizzazione,

mantiene intatte tutte le sue suggestioni.

Desideriamo ricordare tra i personaggi e i temi legati a questa storia

secolare:

1. Marco Polo, uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi, che, insieme

al padre Nicolò e allo zio Matteo, ricchi mercanti che commerciavano

con l’Oriente, soggiornò per diciassette anni in Cina. Giunto

nel Catai, Marco ottenne i favori del Kublai Kahn divenendo suo

consigliere e successivamente suo inviato prima di tornare a Venezia.

2. Padre Matteo Ricci (Macerata, 1552 – Pechino, 1610) gesuita

matematico, cartografo ed esploratore, di cui ricorre quest’anno il

quarto centenario della morte. Vissuto al tempo della dinastia Ming,

il gesuita italiano diede un forte impulso all’azione evangelizzatrice

ed è riconosciuto come uno dei più grandi missionari. I suoi studi

sulla cultura cinese lo indussero a sviluppare il concetto di inculturazione,

nel tentativo di creare un ponte tra due civiltà lontane. Ricci

ritenne che la filosofia greca fosse quella più vicina al confucianesimo

e quindi in grado, una volta adeguata agli usi e ai costumi locali, di

aprire le porte del continente asiatico al messaggio cristiano.

3. Centri fondamentali della produzione della seta in Italia furono

sin dal XIV secolo Venezia e Lucca, congiunte da una linea ideale che

attraversa Ferrara e Bologna, proseguendo lambisce Pisa e raggiunge

il mare a Tirrenia, in prossimità di Livorno.

Sappiamo che sin dal tempo della conquista veneziana la lavorazione

della seta ha occupato un posto di grande rilievo nella storia economica

e sociale del Pedemonte sia Vicentino che Trevigiano, dando vita a

tradizioni sopravvissute sino ad un recente passato. La coltivazione del

gelso, l’allevamento del baco da seta e la lavorazione del filato erano

particolarmente diffuse e radicate nelle zone di pianura alta e di collina,

dove i raccolti erano scarsi e incerti. Per questo motivo si è stabilito

uno stretto legame tra la popolazione dei nostri territori e la bachicoltura,

che per molte famiglie ha rappresentato un’essenziale fonte di

reddito con cui integrare i magri raccolti dei campi, mentre numerose

dinastie imprenditoriali hanno mosso i loro primi passi a partire dalla

gestione di una filanda. Nella fase di maggior fortuna del setificio, il

territorio pedemontano si è fatto conoscere in tutta Italia e in Europa

per la particolare qualità del filo ricavato dai bachi, i “cavalieri” come

venivano chiamati all’epoca, alimentati da un gran numero di filari di

gelsi che costeggiavano rogge e canali. Per questo appare interessante

ricercare i percorsi d’acqua legati alla coltura del gelso e alla lavorazione

della seta, come pure individuare gli importanti mercati che

permisero lo sviluppo del commercio e dell’esportazione dei manufatti.

Si è voluto valorizzare la conoscenza di questa fase della nostra storia

e di questa realtà economica di grande interesse con una serie di iniziative,

anche per approfondire e dare maggior significato alla nostra

identità veneta.

Maria Angela Cuman e Luigi Fontana



Seta, il filo d'oro



PANNELLO 1


LA MOSTRA


La mostra, realizzata dall'Associazione Mondo Rurale, è una tappa del percorso di conoscenza della civiltà contadina nel Pedemonte Altovicentino, intrapreso anni fa.

Lo scopo dell’esposizione è documentare quell'aspetto della vita del passato legato alla gelsibachicoltura ed evidenziare la storia e i saperi ad essa collegati.

Negli ultimi due secoli, infatti, fino ad un tempo non molto lontano, la coltivazione del gelso e l'allevamento del baco da seta – unitamente alla lavorazione della paglia - erano particolarmente diffusi e radicati nella zona considerata, tanto da costituire una fondamentale fonte di reddito con cui integrare i magri introiti del lavoro agricolo.

L'attività serica, fiorente dal 1500 al 1700, fu una realtà assai importante, a Marostica e nel territorio della sua Podesteria, come nei secoli precedenti lo era stata la lavorazione della lana. Il suo sviluppo precedette e, in parte, accompagnò quello dell’arte della paglia, che resse in seguito le sorti economiche di questo territorio, gettando le basi della realtà industriale.


PANNELLO 2


IL FILO D'ORO


(foto: bozzoli F.R.) did. Bozzoli di differenti varietà

imm. Pag26 Il baco da seta; did.Il carro imperiale Ming con le bandiere, pittura su seta. Taipei, National Palace Museum


La seta è una pregiata fibra tessile ottenuta dalla bava emessa dal bruco della farfalla Bombyx mori, detto baco da seta, filugello, bombice del gelso, bigatto e, in dialetto veneto, cavaliére. Fu prodotta fin dal terzo millennio a. C. in Cina e nelle regioni asiatiche meridionali. I più antichi riferimenti storici risalgono al 3870 a.C. e riguardano drappi di seta donati da un re indiano a un re persiano.

La prima testimonianza certa si trova negli scritti di Confucio che riferisce come l'imperatrice Siling-ki, moglie di Ho-ang-ti, regnante intorno al 2500 a.C., allevasse il baco da seta nelle dimore imperiali, imponendo a tutte le dame del Celeste Impero di seguire il suo esempio.

Le popolazioni orientali, con il loro ingegno, inventarono le tecniche per trarre la bava serica dal bozzolo e produrre fili di seta, definiti fili d'argento e d'oro per la loro lucentezza e brillantezza.



PANNELLO 3


LA VIA DELLA SETA


Foto: cartina pag. 28 -29 Il baco da seta

Did. L’antica Via della seta


L'Estremo Oriente conservò a lungo il monopolio della produzione della seta. Le conoscenze necessarie furono tenute segrete per secoli. Solamente i tessuti potevano giungere in Occidente, per mezzo di carovane, attraverso l'Asia Centrale e i deserti del Medio Oriente, percorrendo la mitica Via della seta. Nel suo viaggio verso la Cina, anche Marco Polo avrebbe seguito questa via: 8.000 chilometri di itinerari terrestri, fluviali, marittimi sui quali si snodarono i commerci tra Occidente e Impero Cinese. Da Chang'an (oggi Xian), capitale imperiale, attraverso gli odierni Pakistan, Afganistan, Iran, Iraq, Siria, questa Via giungeva alle sponde del Mediterraneo.

Fu l'attrazione esercitata dalla seta ad aprire la strada al passaggio di spezie, profumi, metalli preziosi ed altre merci rare. Anche piante e animali, idee e religioni si propagarono da ovest ad est e viceversa, facendo della Via della seta non solo una via di commercio, ma anche un'arteria per la circolazione di culture, un ponte fra civiltà diverse.



PANNELLO 4


SETA, DAL CELESTE IMPERO ALLE TERRE VENETE


Foto: stampa monaci

Did. Il rientro a Costantinopoli dei monaci, raffigurato in una stampa antica


La seta era conosciuta da Greci e Romani come merce d’importazione, ma il metodo per ottenerla era ignoto. Gli storici riferiscono che soltanto nel IV secolo d.C. Giustiniano, imperatore dell'Impero Romano d'Oriente e d'Occidente, mandò due monaci in Estremo Oriente per far luce sul mistero. Essi tornarono a Costantinopoli portando alcune uova del bombice del gelso nascoste in una canna di bambù. Da allora la gelsicoltura fu introdotta nell'area mediterranea ed ebbe particolare fortuna in Grecia e nella penisola del Peloponneso che assunse il nome Morea per la grande quantità di gelsi coltivati. Durante i secoli successivi la gelsicoltura si estese nel resto dell'Europa meridionale. Nel IX secolo gli Arabi la diffusero in Spagna e in Sicilia.

A partire dal 1200 l'arte di produrre la seta fiorì in ogni parte d'Italia.

Nel Vicentino l'allevamento del baco da seta iniziò nel 1300 e si sviluppò nel secolo seguente al punto che, nella seconda metà del 1400, i Vicentini vendevano grandi quantità di gelsi e di semi ai Ferraresi, Mantovani e Genovesi.


PANNELLO 5



IL GELSO NEL PAESAGGIO DEL PEDEMONTE VENETO


Foto: dia Bertolin


Il paesaggio del Pedemonte Veneto è stato a lungo caratterizzato dalla presenza di gelsi (moràri) piantati in prossimità delle abitazioni rurali. Di solito venivano disposti in filari ai margini delle proprietà, associati alle viti con funzione di sostegno.

Questa pianta, tipica delle regioni temperate calde, permette di utilizzare ogni sua parte:

il legno per la costruzione di botti e ruote;

la corteccia per la fabbricazione di corde e carta;

i frutti (more) per la preparazione di confetture e liquori;

le foglie per l'alimentazione del baco da seta, funzione ritenuta la più importante fino agli anni ‘60 del secolo scorso.

Poi, col venir meno della bachicoltura, anche i gelsi persero il loro ruolo e furono in parte abbandonati, sradicati o trapiantati in giardini e cortili con funzione esclusivamente ornamentale.



PANNELLO 6


DIFFUSIONE DEL GELSO


Foto: dia Bertolin


La presenza del gelso è condizione indispensabile per l'allevamento del baco da seta.

Nel Vicentino al gelso nero (Morus Nigra L.) subentrò il gelso bianco (Morus Alba L.) importato dalla Grecia e originario della Cina. Con questa varietà, che produce fogliame più precoce e in maggior quantità, si ottiene una seta abbondante e di alta qualità. Dal 1400 la coltivazione del gelso bianco si diffuse massicciamente nella pianura Padana. In Lombardia diventò così importante che Ludovico Sforza, signore di Milano, fu detto il Moro per la quantità di gelsi che fece piantare nei suoi possedimenti. Nel Vicentino, come in altre parti del Veneto, queste piante erano protette da normative che prevedevano pene assai severe per chi avesse rubato o danneggiato un gelso. L'impianto di nuovi moràri fu continuo nel corso dei secoli, tanto che nel decennio 1754 - 1764 il territorio vicentino arrivò a produrre più di due milioni di bozzoli, alimentati da 100.000 moràri .La diffusione dei gelsi è confermata dai dati del Censimento Austriaco (1820 - 1830). Nella Podesteria di Marostica furono censite ben 18.503 piante.



PANNELLO 7


LA SETA A MAROSTICA

Foto della podesteria di Marostica (F. X.)

did: La Podesteria di Marostica, fino alla modifica dei suoi confini nel 1802, comprendeva un territorio piuttosto esteso: 31 ville, tra cui Pianezze S. Lorenzo, Angarano (ora nel Comune di Bassano del Grappa), Nove, i Sette Comuni dell’Altopiano (Asiago, capoluogo, Lusiana, Enego, Gallio, Roana, Foza e Rotzo), e le loro contrade annesse, ossia Campese, Campolongo, Camporovere, Canove, Crosara con S. Luca, Valle S. Floriano, Valrovina, Valstagna, Oliero - Archivio di Bassano del Grappa.


Ne’ tempi andati è fiorito molto il negozio de’ panni, et altri lanefficii, contandosi in Marostica sola se ne facevano un numero incredibile, hora con l’uso delle mondane vicende è passato questo traffico nel trevigiano, introdotto in Marostica quello della Sedda, per la quale si vedono tra il recinto, et fuori diversi edificii detti filatoii alla Bolognese, che sostengono molto numero di persone”. Cosí appariva Marostica all’inizio dell’Ottocento a Gaetano Maccà che, nella sua Storia del territorio vicentino, ne offre una dettagliata descrizione politica ed economica.

La produzione della seta costituì il più importante comparto economico per Marostica dalla fine del 1500 fino alla prima metà dell’Ottocento. Ciò che la contraddistinse fin dall’inizio fu la presenza dell’intera filiera: dalla coltivazione dei gelsi all’allevamento del baco, dalla trattura alla torcitura del filato.





PANNELLO 8

ALLEVAMENTO DOMESTICO DEL BACO DA SETA


I Iuoghi e i tempi


Foto: De Marchi Did. Raccolta di foglie di gelso

Ill.pag.539 Enciclopedia – did. Fasi di sviluppo del baco da seta


Per il contadino l'allevamento dei bachi da seta (cavaliéri) costituiva una delle poche fonti che integravano il magro reddito dei campi.

Nella casa rurale generalmente non vi era un luogo preposto all'allevamento dei bachi, perciò si sfruttavano gli ambienti ritenuti più idonei, quali la cucina e le camere, per l'allevamento vero e proprio dei bachi, e il granaro per la costruzione del bozzolo.

Tutta la famiglia era impegnata nelle varie operazioni. Gli uomini e i bambini raccoglievano le foglie del gelso e le sminuzzavano per ottenere l'alimento necessario ai cavaliéri; le donne davano da mangiare ai bachi e, aiutate dagli uomini, provvedevano alla pulizia, togliendo gli escrementi.

Il lavoro era intenso, ma di breve durata: si svolgeva tutto in primavera, nei 40 giorni che precedevano la mietitura del grano. In questo periodo di tempo, dalle microscopiche uova sarebbero nati i bruchi o bachi che, se non attaccati da malattie spesso gravi o mortali (prebina, calcino, giallume, macilenza e flacidezza), avrebbero prodotto il bozzolo composto dal prezioso filo.



PANNELLO 9


FASI DI SVILUPPO DEL BACO DA SETA

Foto: F.R.


I cavaliéri


Ogni anno, intorno a metà aprile, iniziavano i preparativi per la buona riuscita dell'allevamento. Bisognava anzitutto procurarsi le uova-seme: un quarto di oncia, mezza oncia, una o più once, in proporzione dello spazio e della quantità di moràri disponibili. L'oncia (unità di misura corrispondente a 27,5 grammi) era costituita da 60.000 minuscole uova che, per schiudersi, richiedevano un ambiente tiepido. Si sfruttava il tepore della stalla o semplicemente quello del letto o del seno delle donne.

Dopo alcuni giorni cominciavano a nascere i piccolissimi bachi, che venivano sistemati su un tavolo o su un tondo appeso alle travi del soffitto e alimentati con le prime foglie di gelso. Si preparavano quindi i graticci di sottili canne di palude (rèle), disposti su più piani, dove si sistemavano i cavaliéri per nutrirli con abbondanti quantità di foglie di gelso. I bachi di un'oncia di seme richiedevano fino a 1.300 Kg. di foglie e avrebbero reso, nella zona di Marostica, circa 90 Kg. di seta. Dalla nascita al momento in cui i bachi cominciavano a filare, passavano 33 giorni. Durante questo periodo, in fasi successive, essi sospendevano i pasti, mutando la pelle quattro volte.



PANNELLO 10


FASI DI SVILUPPO DEL BACO DA SETA


Le galéte


Dopo le quattro mute i bachi diventavano voracissimi (i magnava de furia), tanto che si faticava a procurare foglie bastanti. Quando smettevano di nutrirsi, il loro corpo allungato e ingrossato (fino a 9.000 volte) assumeva la trasparenza della seta. Iniziava allora una nuova fase: la costruzione del bozzolo o galéta. Per favorire questa attività era necessario preparare il "bosco", disporre cioè rami o fascine slegate tra cui i bachi potessero filare. Il bosco aveva bisogno di un ambiente spazioso, di solito il granaro. I componenti della famiglia, muniti di recipienti vari, raccoglievano i cavaliéri maturi e li portavano al bosco, disponendoli a manciate tra i rami, quindi l'ambiente veniva oscurato.

I bachi iniziavano la loro attività più spettacolare. Con la bava - emessa da un organo posto sotto la bocca - cominciavano a filare il bozzolo, dentro il quale avveniva la metamorfosi, cioè la loro trasformazione in crisalide e poi in farfalla. Dopo 8 - 10 giorni si potevano raccogliere i bozzoli, prima dell'uscita della farfalla, per evitare che questa, emettendo una secrezione rossiccia atta ad aprirsi un varco tra i fili, pregiudicasse il valore del bozzolo, rendendolo uno scarto.








PANNELLO 11


LA RACCOLTA DEI BOZZOLI


La spelàia


Foto: De Marchi 2 Did: Donne intente a togliere a mano la spelàia dai bozzoli


Dopo la raccolta, si liberavano i bozzoli dalla spelàia, quella leggera incastellatura di seta servita al baco di base per fissarsi ai rametti del bosco e costruire il bozzolo. Togliere la spelàia era un lavoro lungo da compiersi a mano, ma venne ben presto agevolato da un semplice attrezzo: la spelarìna. Si tratta di un tondino di ferro fissato ad un tavolo e fornito di una manovella. Il ferro, fatto girare, attira i bozzoli avvolgendo attorno a sé la spelàia.

I cascami di seta così ottenuti servivano a confezionare trapunte e trapuntini caldi e leggeri, che avevano il pregio di non gravare sul dormiente.

I bozzoli venivano quindi cerniti per separare i regolari dai difettosi, quindi, riposti in teli, venivano portati al centro di raccolta o alla filanda. Quando si consegnava anche la spelàia, si procedeva alla sua cardatura, dopo averla unita agli scarti di trattura delle bave - precedentemente sottoposti a bollitura e torchiatura - per realizzare tessuti misti.



PANNELLO 12


LA TRATTURA DELLA SETA


Il fornello


Foto: proclama (F. X.) did. Proclama emanato il 20 gennaio 1767 con cui si autorizzano i fabbricanti di seta a utilizzare il metodo inventato da Virgilio Galvan per la trattura della seta

Illustr. N. 14 pag 57 Guida al Museo. Did. Trattura delle bave dai bozzoli con rudimentali fornelli e con aspi azionati a mano


Fino alla seconda metà del 1800 nelle case contadine, oltre all'allevamento del baco da seta, poteva essere realizzata anche la trattura (dal latino trahere = tirar fuori) del filo di seta dal bozzolo. Per secoli si utilizzò il fornello, un congegno molto rudimentale costituito da una stufa a mattoni funzionante a legna, che scaldava l'acqua contenuta in una bacinella di rame, e da un aspo di legno, fatto girare da una manovella. I bozzoli venivano versati nell'acqua calda per far sciogliere la sostanza collosa che unisce le bave attorno al bozzolo. I capi di alcuni fili venivano fissati all'aspo che, fatto girare, formava la matassa. Ogni baco produceva fino a 2000 metri di filo. Appena il filo di un bozzolo terminava, era necessario annodarlo a quello di un altro, così la trattura continuava. Tolta la matassa dall'aspo, iniziava la formazione di un'altra.

La diffusione dei fornelli era capillare nella Podesteria di Marostica. Fu proprio un marosticense, Virgilio Galvan, a migliorare la trattura con una innovazione ufficialmente riconosciuta dalla Serenissima.

In età veneziana la seta tratta - qui prodotta - alimentava, oltre alle tessiture vicentine, anche quelle di stati esteri, per opera di abili intermediari che giravano le campagne alla ricerca del prezioso prodotto.

La trattura della seta mediante i fornelli continuò fino alla diffusione dei grandi laboratori: le filande.



PANNELLO 13


VOCAZIONE MANIFATTURIERA DEL TERRITORIO MAROSTICENSE


foto :mappa Marostica (F. X.)


Fin dal 1400 l’Alto Vicentino con i distretti amministrativi di Marostica, Schio, Thiene, Valdagno, Arzignano e Bassano del Grappa, costituì una fascia geografica a vocazione proto-industriale. Questa caratterizzazione è attribuibile a due fattori: la distribuzione delle acque e la disponibilità di manodopera. Nel Cinquecento, infatti, fu progettata una pluralità di congegni in grado di trasferire il moto circolare alle diverse funzioni: i martelli delle gualchiere per la follatura dei tessuti di lana, le macine dei mulini, le segherie e l’eccezionale mulino, detto ‘alla bolognese’, per la torcitura del filo di seta. La manodopera era fornita dalle famiglie contadine residenti nelle aree di piccola proprietà dell’alta pianura e della pedemontana, dove la minore fertilità del suolo era di incentivo alla ricerca di mezzi di sussistenza non legati al lavoro della terra. La vocazione manifatturiera del territorio marosticense e dell’Alto Vicentino trova conferma nei documenti relativi alle investiture per l’uso dell’acqua a fini industriali.

Tra il 1600 e il 1796 le investiture e le conferme d’acqua nel Vicentino si trovano per la maggior parte nella Podesteria di Marostica, dove si registra il maggior numero di impianti: il 48,2% dei filatoi di seta ‘alla bolognese’, il 30,2% dei magli da ferro e da rame, il 31,3% di cartiere, il 9,1% di gualchiere e garzi. A seguire vi erano Schio, con una percentuale totale per tutti e quattro i tipi di impianto del 19,4%, e Bassano del Grappa, con il 12,6%.





PANNELLO 14


DAL FILO DI LANA AL FILO DI SETA


Foto:Mappa Marostica (F. X.)


Tra il 1400 e la seconda metà del 1500 la manifattura laniera costituì per tutta la Podesteria di Marostica la più importante fonte di reddito. Nel 1416, in quanto città murata, la nostra Città aveva riottenuto dalla Repubblica Veneta l’antico privilegio di fabbricare i panni alti, ossia panni più fini e di maggior costo. Si continuò tuttavia a produrre fuori dalle mura i panni bassi, meno costosi e pertanto molto commerciabili.

La produzione nel marosticense, così come a Vicenza e a Lonigo, dei pregiati panni alti da esportazione iniziò visibilmente a calare in seguito alla crisi bellica con l’Impero Ottomano, ma a questo fattore si deve anche aggiungere l’acuirsi della concorrenza internazionale. Si affermarono, infatti, nuovi tipi di tessuto che avevano il loro modello in quelli fiamminghi, i cammellotti, noti per essere più leggeri, adatti per il vestiario, e i merlini della Svevia e della Baviera, robusti e dal prezzo più conveniente, che trovarono facile smercio fra i contadini. Nell’arco di due decenni, la produzione vicentina di panni di lana si ridusse di oltre il 90%, toccando livelli minimi già nel 1596.

All’alba del nuovo secolo il lanificio era ormai scomparso anche da Marostica: alla fine del 1500 si può dire sia già terminata quella conversione che vede l’industria della seta soppiantare quella della lana.


PANNELLO 15


LA TORCITURA DELLA SETA


Foto – Illustr. Mulino (F.X.)

Il mulino ‘alla bolognese’


Il mulino alla bolognese, filatoio circolare da seta, costituì una tecnologia straordinaria, una delle macchine forse più complesse tra quelle mosse dall’energia dell’acqua. Esso permetteva di filare un filo di seta a due fili (cai), torto uniformemente, dopo che si era riusciti a trovare il sistema di correlare i giri del fuso caricato di seta tratta (rocchetto) con la velocità del dispositivo di raccolta (aspo o più tardi rochella). Il risultato era un filo sottile, lucido e molto resistente. La sua diffusione seguì ed accompagnò lo sviluppo della gelsibachicoltura, permettendo di valorizzarne appieno le potenzialità economiche, grazie alla lavorazione del prezioso filato semilavorato, conosciuto con il nome di orsoglio alla bolognese .

Il mulino ‘alla bolognese’ fu introdotto a Venezia all’inizio del 1500 da un gruppo di mercanti lucchesi. La Serenessima ne difese la costruzione con diversi provvedimenti, proibendo, con pene severissime, ai Maestri dell’Arte della Seta di Venezia di lasciare la città e trasferire altrove materiali e tecniche operative. Alla fine del Cinquecento, però, ispezioni condotte nella terraferma verificarono che il ciclo della produzione e della lavorazione della seta si era già largamente diffuso. L’orsoglio alla bolognese raggiunse presto quotazioni talmente alte che Venezia decise di liberalizzarne la produzione nello Stato Veneto. Nel gennaio del 1634 con un apposito decreto si concedeva a chiunque desiderasse costruire un torcitoio ‘alla bolognese’: l’uso gratuito delle acque, l’esenzione da ogni regolamentazione corporativa, dalle imposte e dal dazio di transito da luogo a luogo per cinque anni, dal pagare il dazio di entrata nella città di Venezia, purché le sete fossero riconosciute ‘nazionali’ alla Dogana. Fino al 1670 gli orsogli non furono esportati all’estero. Lo scopo, infatti, era di mettere in condizione il semilavorato nazionale di alimentare adeguatamente la produzione di filato per la tessitura, data la sua quotazione raggiunta nel mercato internazionale.


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GLI IMPRENDITORI MAROSTICENSI


Con la liberalizzazione della produzione di filato ‘alla bolognese’ si andò intensificando a Marostica l’insediamento industriale del settore serico. Qui il mulino da seta ‘alla bolognese’ segnò l’enorme sviluppo della filatura-torcitura serica, economicamente molto remunerativa. Si continuò comunque a produrre anche altri tipi di filato, come quello da trama e quello robusto ma meno pregiato detto alla rasera.

Tra le prime manifatture si ricordano in particolare quelle di Pietro Morosini, che fece domanda per la costruzione di un mulino a Cartigliano sulla riva del Brenta (21 luglio 1652), i mulini situati a Marostica di G. Zanne Angaran (2 agosto 1662) e di Marco Stropari (1678), in località S. Sebastiano, e quello ad Angarano della Nobil Donna Lucrezia Dal Molin, unica imprenditrice femminile.




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Nel 1700 si annoveravano nella Podesteria di Marostica i mulini di:

Marostica: notaio Gio. Nievo Ragazzi, Domino Felice Zerbina, Domino Marco Stropari, Heredi Marzari, Domino Gasparo Girardelli

Le Nove: Domino Giacomo Rossi

Angarano: Nobil Donna Lucrezia Dal Molin, Morlin Memmo e dei Conti Angarani

Valstagna: Domino Nicolò Lazzaroni, Domino Angiolo Todeschi

Campolongo: Nobiluomo Conte Nicolò Contarini



Nel 1718 si annoveravano nella Podesteria di Marostica i mulini di:

Marostica: Conte Iseppo Marzari che affitta al Sig. Iseppo Bricito, Paolo Vettorelli che affitta al Signor

Nicola Caffo, Signor Francesco Stropari, Signor Lorenzo Grapiglia

Angarano: Nobil Donna Lucrezia Dal Molin, Pietro Toniolo, Ambrosio Marinon, Paolo Golin, Zuanne Miazzo

Oliero: Bortolo Pedi, Orazio Scolari

Nove: Ruberto Roberti, Nobiluomo Angelo Diedo Procuratore di S. Marco

Campolongo: Nobiluomo Nicolò Contarini

Valstagna: Antonio Todesco, Zuanne Genere, Signori Lazzaroni, Signori Fabri

Marchesane: Nobiluomo Conte Giacomo Angaran da lui affittato a Lorenzo Zincato.



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PRODUZIONE E COMMERCIO DELLA SETA


Di tutto il setificio di Terraferma, quello del Vicentino ricopriva un ruolo fondamentale per l’economia dello Stato. All’inizio del Settecento, l’asse portante della produzione dell’orsoglio alla bolognese era suddivisa tra la Podesteria di Marostica e Bassano del Grappa. Padova, Rovigo, Treviso, Crema, infatti, non avevano seterie; a Verona lavoravano ottanta capimistri, ma la provincia produceva seta di qualità mediocre. Vicenza, invece, si contraddistinse presto per la produzione di tessuti pregiati - settore nel quale rivaleggiò con la Serenissima per lungo tempo - che venivano esportati nelle più importanti piazze europee, in particolar modo in Germania e in Sassonia. La città berica poteva contare su circa 500 telai in piena attività, quando se ne annoveravano solo 40 a Brescia e 70 a Udine.

Nel 1718 nella produzione di orsoglio alla bolognese, la Podesteria di Marostica con 21 mulini si situava al secondo posto, dopo Bassano che ne annoverava ventiquattro. La manifattura serica nel marosticense era così attiva che nel 1771 il Podestà di Vicenza, Giuseppe Pizzamano, poteva affermare che «[...]le sete di Marostica ridotte in orsoglio ad uso di Bologna ridondano e confluiscono ad […] utili effetti». Le numerose inchieste amministrative misero in luce la grande vitalità del comparto della filatura serica nel Vicentino. Si rilevava che la bachicoltura era molto diffusa nel marosticense, così come la coltivazione dei morari.

Una rilevazione attenta ed accurata, redatta nel 1785, fornisce in misura abbastanza attendibile la dimensione raggiunta dal comparto della torcitura a fine secolo. La produzione complessiva di seta ritorta del Vicentino tra il 1783 e il 1784 sfiorava le 350.000 libbre di seta annue (125 tonnellate), di queste 140.000 (45 tonnellate) erano lavorate nei diciannove torcitoi della Podesteria di Marostica e 170.000 (circa 60 tonnellate) nei ventidue del Bassanese.

Dai dati riportati emerge che la Repubblica di Venezia era nel 1700 il più grande produttore di seta greggia d’Europa.




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IN FILANDA

Le mansioni


Foto –De Marchi 4. did. La trattura della seta, ai giorni nostri, in una filanda cinese

De Marchi 3. did. Scarto di lavorazione torchiato, dopo la bollitura, poi unito alla spelàia per ottenere tessuti misti


Le filande, veri e propri laboratori specializzati nella produzione del filo di seta, sorsero nel corso del 1800 dapprima nella fascia pedemontana del Trevigiano, Bellunese e Isontino e, successivamente, nel Vicentino dove, nella prima metà del secolo, si contava un centinaio di titolari di industrie seriche.

In filanda le operaie prendevano nomi diversi, a seconda delle mansioni.

Le scoatìne catturavano con una piccola scopa le bave dei bozzoli, già preparati nell'acqua calda per far sciogliere la sericina, sostanza che tiene unito il filo.

Le filandiére afferravano la bava di ogni bozzolo e univano più bave formando un filo che attaccavano all'aspo per ottenere la matassa. Inoltre controllavano i bozzoli in corso di lavorazione e osservavano che il filo fosse regolare.

Le menaresse azionavano manualmente la manovella dell'aspo, fino all'introduzione della forza idraulica.

Le ingropìne annodavano i capi delle bave ogni volta che si rompevano.

L' asisténte sovrintendeva all'andamento del lavoro, incitando continuamente le operaie.

La proveniéra esaminava il filo controllando lunghezza, peso e quantità e interveniva su richiesta dell'assistente.

Le strusìne passavano a raccogliere le parti iniziali e finali del bozzolo (struso).

Le bigatìne toglievano dalle bacinelle le crisalidi che, essicate, diventavano mangime per gli animali.

A fine giornata la seta prodotta veniva controllata con la pesatura e la registrazione in un apposito libro, dove si annotava il peso dei bozzoli usati per poter ricavare la rendita. Seguivano le operazioni di sgommatura e asciugatura per togliere l'ultima parte di sericina.





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IN FILANDA


Condizioni di lavoro


L’occupazione in filanda era essenzialmente femminile, fatta eccezione per il caldaista e gli addetti alle spedizioni. Molte operaie erano giovani e giovanissime (all'inizio del 1900 lavoravano anche ragazzine di 8 - 9 anni).

La giornata lavorativa oscillava fra le 10 e le 11 ore: dalle 7 alle 17.30, con l'intervallo per consumare il pasto. Le operaie raggiungevano la filanda a piedi, spesso con lunghi tragitti, dopo aver sbrigato le faccende domestiche; alle fatiche in filanda si aggiungeva la cura della casa e dei figli.

L’attività era molto intensa nei mesi estivi, in quanto il ciclo produttivo di bachi si concludeva a metà giugno, mentre veniva interrotta nel periodo invernale.

Le condizioni di lavoro risultavano alquanto pesanti, sia per l' ambiente insalubre che per il duro trattamento. Ma le donne alleviavano la fatica intonando canti della tradizione popolare o recitando il rosario.

La permanenza in luoghi maleodoranti e saturi di umidità, per effetto dell'evaporazione dell'acqua calda delle bacinelle, provocava un disagio costante. Fino all'intr

oduzione delle macchine semiautomatiche, l'immersione continua delle mani nell'acqua calda causava piaghe e, col tempo, dolori articolari e artritici. Era poi mortificante per le operaie dover essere sottoposte a rigidi controlli personali, paragonabili a vere perquisizioni. Vanno aggiunte la retribuzione sempre scarsa e l'irregolarità dei versamenti contributivi che, negli anni '60 del secolo scorso, furono motivo di vertenze e lotte sociali.

Nonostante ciò, quello della filandiéra era un lavoro ambito in un periodo in cui era difficile poter svolgere una mansione fuori casa. Alla filanda va riconosciuto il merito di aver contribuito a integrare il reddito del lavoro agricolo, sfamando molte famiglie e, insieme, di aver reso le donne consapevoli del loro ruolo sociale, "pioniere" dell'emancipazione femminile.