Marco Praloran

Nota critica sull' opera di Angelo Urbani

Apuntozeta  
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Angelo Urbani è un´artista singolare, la sua produzione molto articolata è intimamente legata ad un progetto concettuale complesso e coerente, peraltro in continua evoluzione . Cogliamo immediatamente, passeggiando tra le sue opere e ancora di piú se ci rechiamo nella sua casa-studio, che le sue diverse opere sono dense di memoria di uno spazio che possiamo chiamare grosso modo contadino. Non genericamente contadino ma caratterizzato e delimitato in senso geografico e temporale, ciò che coincide in qualche maniera con lo spazio e il tempo della vita a Cereda che il suo paese natale e il paese in cui egli vive e lavora. Naturalmente ( questo si avverte immediatamente ) non si tratta di una riproduzione realistica di specifici elementi di questo microcosmo, non c´è nessun intento o resa figurativa di oggetti concreti o di scorci di paesaggio, no, direi piuttosto che nelle opere di Urbani si avverte l´azione profonda, continua e forse in qualche modo ossessiva di linguaggi che attengono a questo spazio, linguaggi che possiamo definire oggettivi, dunque precedenti a qualsiasi intervento soggettivo. Sono segni, figure che sono iscritti nel microcosmo della zona collinare di Cereda e che Urbani coglie come elementi sedimentati di un paesaggio naturale e umano. Elementi tuttavia che perdono il carattere particolaristico, la loro specificità locale e diventano invece elementi portatori di valori assoluti; pur non perdendo nulla delle loro proprietà formali (ma su questo poi torneremo) assumono un valore simbolico. Possiamo dire con una formula, che l´isolamento in cui lavora Urbani è la strana condizione della sua universalità. L´isolamento non coincide infatti con lo specchiarsi nostalgico nel passato, in un mondo perduto ricreato esteticamente. Urbani sfugge da questo rischio, la sua stessa autobiografia, irta di difficoltà, di scelte radicali, solo apparentemente nascoste sotto un velo di quotidiana continuità, renderebbe impossibile un atteggiamento che sul piano estetico apparirebbe necessariamente reazionario o peggio ancora stucchevole, insignificante. Sorprendente, e a mio avviso estremamente moderna e rischiosa, è invece la posizione di questo artista di fronte al paesaggio. Urbani vede il paesaggio rurale immerso nel suo divenire storico, come qualcosa che accompagna la vita dell´uomo e che dalla vita dell´uomo è trasformato e ferito. Le cicatrici del paesaggio agiscono nell´opera di Urbani come segni e allegorie. L´arte di Urbani si nutre moltissimo di riflessione e la riflessione agisce attorno a dei nuclei ricorrenti, in qualche modo a dei nuclei ossessivi. Ad esempio troviamo spesso nelle sue opere dei disegni decorativo-popolari che da tempo immemorabile si sono iscritti nel paesaggio contadino. Sono i W (viva) che accompagnavano i coscritti di paese: W il 56, W il 57, sono le bamboline delle fiere paesane, segni stilizzati che Urbani riporta nelle sue opere, ad esempio nelle sculture. In questo senso ci sono delle convergenze della sua produzione con alcune grandi linee di quell´arte del dopo guerra che ha più profondamente riflettuto su questi temi: la land-art americana, l´arte povera italiana. In questa linea di riflessione può valere il concetto di citazione oggettiva. Proviamo a riflettere. Alcune opere di Urbani, opere che ritroviamo qui, in questa esposizione, sono, se possiamo definirle così, pezzi di natura amorevolmente strappati dalla natura e immessi in uno spazio estetico, sono sassi, rami, oggetti, a volte obiettivamente naturali che non sono sottoposti ad alcun intervento, soggettivo è lo sguardo che li vede, li coglie e se volete li traspone qui davanti a noi; a volte essi sembrano essere intatti, pezzi intatti di natura: un tronco, un sasso, a volte invece questi oggetti naturali portano il segno della storia umana, storia che in Urbani è sempre umile, cioè per eccellenza anonima: ecco ad esempio i tralci o i legni colorati dal verderame; oppure in una terza modalità ma ideologicamente coerente con le prime due Urbani "interviene" sovrapponendo a questi oggetti umili segni che rinviano ancora una volta al rapporto tra natura e azione dell´uomo: i sassi segnati dalle W o dalle bamboline stilizzate appunto. Ciò è davvero molto significativo, l´artista agisce sull´oggetto sovrapponendo degli elementi che a loro volta non sono segni della sua specificità soggettiva ma sono figure comuni, umilmente anonimi e ricorrenti.


Eppure queste opere, opere certamente enigmatiche, risplendono qui di una bellezza il più possibile obiettiva, eppure il gesto estetico non trascende il materiale (forse in parte lo trascende la sua collocazione) ma si limita a vederlo e farlo vedere. Abbiamo l´impressione che Urbani abbia "cercato" per molto tempo questi oggetti - magari un albero secco del bosco dietro casa - e li abbia custoditi nella sua memoria e nel suo sguardo prima di "trovarli", rendendoli oggetti estetici. Probabilmente, se potesse, se nuove e migliori condizioni per il suo lavoro glielo permettessero (e ci pare in qualche modo di cogliere nelle sue ultime espressioni questa utopia e questa speranza) egli prenderebbe rupi, enormi rocce, grandi pezzi di muro e li incuneerebbe qui davanti a noi a far brillare la liricità o l´epicità della materia e del rapporto stringente tra la materia e la vita dell´uomo. Urbani conosce benissimo, senza nessuna illusione, l´alienazione del lavoro contadino o artigianale, la schiavitù dell´uomo che vi si presuppone ma ne avverte la potenza lirica, una potenza obiettiva appunto che si dà da sè. La sua meditazione affronta teneramente, accanitamente il linguaggio della natura, egli lo affronta in una prospettiva filosofica, da qui anche la complessità di una possibile interpretazione.

Le Impronte su carte. Già la scelta del materiale, la carta, è significativa, materiale "povero" per eccellenza e in qualche modo sottoposto all´azione del tempo, su cui agisce il tempo. In un primo momento la sua opera pittorica sembra rientrare di pił in una prospettiva, non diciamo tradizionale, per nulla, ma in qualche modo in uno spazio caratterizzato da una posizione piú attiva dell´artista. E´ ingiusto e semplicistico dire così ma forse può essere di qualche utilità. Questi bellissimi dipinti in realtà sono caratterizzati da un elemento aleatorio, aleatoria è per eccellenza l´azione della natura, per esempio della natura su questo sasso, e ancora di più la combinazione tra natura e attività umana. Ma nelle sculture ciò è preliminare come abbiamo visto. Nelle carte invece l´aleatorietà è invece parte del processo creativo dell´artista, interno alla sua tecnica compositiva, carattere tipico peraltro della modernitá, sia nelle arti figurative, sia in musica. Urbani infatti controlla solo in parte i procedimenti esecutivi, dà il via, se possiamo dire così, lascia amorevolmente che la resa finale si realizzi all´interno di combinazioni solo in parte prevedibili. Anche in questo caso riconosciamo dunque l´azione oggettiva che prepotentemente sembra darsi da sè. La differenza con le sculture sta appunto nelle diverse fasi temporali che attraversano le due procedure: una presuppone l´intervento soggettivo a posteriori, in ciò che la retorica antica chiamava dispositio, l´altra presuppone l´intervento invece come momento iniziale, in ciò che è l´inventio.

Da queste ´carte´ sorgono figurazioni astratte che ancora una volta alludono a quelli che potremmo definire fenomeni naturali come se i segni della natura microscopicamente ora riapparissero qui, per chi può guardare, con l´infinita varietà delle proprie soluzioni. Nella logica compositiva di Urbani il materiale sembra quasi trovare da sé una propria conformazione, l´opera sembra realizzarsi come uno sbocciare di qualcosa che è immanente alla materia. L´artista segue questo sviluppo, lo conduce forse ma non lo preordina, come se il materiale trovasse quasi naturalmente una conformazione necessaria, come se egli si limitasse a seguire amorevolmente ciò che è già implicitamente leggibile. Le bellissime "carte" di Urbani possono ricordarci per l´eleganza dei toni e dei timbri, per i meravigliosi, delimitati, accostamenti cromatici, o per le aspre tensioni e dissonanze, molti oggetti della tradizione, spesso l´arte giapponese ad esempio, ma faremmo un torto a questo personalissimo artista se non mettessimo in luce la sua concezione dell´arte, il suo senso personalissimo di "costruzione" che non è fondata sul dominio del materiale ma sull´ascolto del materiale. Egli attende con fiducia, utopicamente, che questa bellezza si sveli e la sua tecnica raffinatissima è asservita a questo ´accompagnamento´, in qualche modo la tecnica si pone in una funzione ´servile´ rispetto alla materia. In realtà Urbani padroneggia perfettamente le differenti tecniche pittoriche ma la sua posizione estetica, quasi ideologica, comunque radicale, lo trattiene da qualsiasi esibizione formale che presupponga in differenti modi una ´violenza´ sul materiale.

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