IL
DESTINO DELLE COSE
a
cura di Luigi Meneghelli
15
novembre 2014 - 28 febbraio 2015
Inaugurazione
sabato
15 novembre, ore 18.30
ARMAN
ANDREA BIANCONI
ENRICA BORGHI
ALESSIA CARGNELLI
CÉSAR
FLAVIO FAVELLI
FISCHLI
&
WEISS
CHRISTIAN FOGAROLLI
DANIELE GIRARDI
TADEUSZ KANTOR
KURT SCHWITTERS
DANIEL SPOERRI
Omaggio
a MICHELANGELO
ANTONIONI
Se
un tempo, nella vita dell’uomo, gli oggetti avevano una
presenza stabile e quasi mitica, se la loro produzione e il
loro uso erano un tutt’uno con il loro significato,
nell’età moderna ogni oggetto diventa riducibile
ad un puro apparato funzionale. L’avanzamento
tecnologico lo spinge verso una totale banalizzazione, verso
quella dimensione dell’ “usa e getta” che
non lascia più nessuna traccia nella nostra memoria e
nel nostro essere. Ebbene, lo sguardo che l’arte rivolge
verso le cose, proprio a partire dalla modernità, sembra
avere come obiettivo principale quello di ridare alle cose
stesse un senso, una storia, una individualità. E, in
alcuni casi, addirittura una dimensione di magia e di mistero.
Se si prende ad esempio la figura di Schwitters, che raccoglie
brandelli di vita (biglietti del tram, fili metallici, spaghi,
ecc.) accumulati secondo la legge del caso, si capisce come
anche i rifiuti possano diventare frammenti carichi di memoria
e di poesia. Con l’artista polacco Kantor e i suoi
“Ombrelli” (o i suoi “Emballages”)
l’oggetto si contrae, si distende, comunicando quasi
un’idea di energia, di tensione, di movimento. E’
un po’ come se si cercasse di richiamarlo in vita, di
scuoterlo dal torpore nel quale è immerso, causa l’uso
o il consumo. Gli esponenti del “Nuovo Realismo”
(Arman, César, Spoerri, ecc.) propongono invece un
inedito accostamento al reale, invitandoci a percorrerlo
liberamente, e a insinuarci nelle sue pieghe, nei suoi
risvolti. Resti e residui diventano spazi aperti, in cui è
messa in scena la rovina, ma in cui la stessa rovina diventa
materiale vitale e creativo.
Tutt’altro
approccio alle cose presentano le nuove generazioni. Oggi si
va sempre più verso una visibilità totale e
illusoria e ogni elemento materiale risponde solo a un bisogno
di immaginario, di fantastico. Come recuperare la perdita
materiale, il “sapore delle cose concrete”? Forse
non resta che la memoria. Anche perchè, come ha scritto
W. Benjamin: “Per la storia nulla di ciò che è
avvenuto dev’essere mai dato per disperso”. E
allora si possono costruire propri mondi oggettuali, che
raccolgono, alterano, rovesciano il mondo conosciuto, come se
si trattasse di uno scavo nelle profondità del tempo .
Le cose così “diventano inesauribili ricettacoli
di commemorazione”, materie che sopravvivono, passato
che continua a lavorare appassionatamente anche nel presente.
E’
così per Christian Fogarolli che, nella sua
installazione Blackout ci introduce in una
sorta di “museo delle miserie”, messo insieme in
una vita intera. Le cose (una cassapanca scrostata, un armadio
cadente, vecchie foto) finiscono per diventare inseparabili,
indinstinguibili da chi le ha raccolte. Ed è così
anche per quel panneggio fatto da mille corde che scendono dal
soffitto di Andrea Bianconi: pannegio di chincaglierie, dove
ogni identità si perde per far posto a infinite
combinazioni, ad una specie di “caos del cosmo”.
Come è così per il video di Alessia Cargnelli
che documenta le insignificanti tracce di un luogo dimenticato
di Venezia. Una sequenza di immagini virate al porpora, in cui
si alternano i contorni tremanti di oggetti, architetture,
fasci di luce radente. Una paradossale “archeologia del
presente”. Più mentale è il discorso di
Flavio Favelli: egli lavora sul senso del vissuto, del
quotidiano, del privato. In Lettiga, assembla
pezzi di mobilio, che sembrano funzionali, ma che non lo sono,
che sembrano riconoscibili, ma che sfuggono a ogni
identificazione. La lettiga infatti perde il suo senso antico
e si trasforma in un oggetto che pare sul punto di sfasciarsi.
Pure l’installazione di Enrica Borghi mette in scena una
trasformazione lampante, come un sogno ad occhi aperti. Si
tratta di bottiglie di plastica che, tagliate e defornate dal
calore, diventano altro: qui spostano la loro banalità
verso quello che potrebbe essere la sublimità di un
cielo stellato. Restando se stesse danno luogo a un mostrarsi
nuovo, inatteso. Daniele Girardi, infine, propone un
intervento che può ricordare una ferita nel muro, da
cui fuoriesce una cascata di taccuini bruciati, consunti. Egli
intende alludere sia alla catastrofe che all’energia
insita nella catastrofe stessa, indicare un mondo in
disfacimento, ma anche un nuovo mondo possibile, pensabile,
realizzabile.
Nelle cose fuori moda, nei fondi di
magazzino, nella miniera del dimenticato, questi artisti
rincorrono con accanimento quel “lascito del passato”
tuttora pregno di indizi che possono offrire anticipazioni di
una storia posta sotto il segno del “diverso”,
tracce dei fili che già in passato hanno rimandato
all’esigenza di un futuro liberato. E’
per questo che in mostra trova spazio anche la proiezione
dell’ultima sequenza di Zabriskie Point di Antonioni,
con le immagini mitiche della villa che esplode o il video del
duo svizzero Fischli & Weiss (Der Lauf der Dinge), altra
storia di infinita catastrofe, seppure incredibilmente
esilarante. E’ per poter mostrare che i ricordi (delle
cose) fluiscono nel tempo, ma non si logorano né si
esauriscono. Semplicemente con i loro resti fondano altre
realtà e altre visioni.
(Luigi
Meneghelli)