Letture 2010

Il Teatrino della scrittura
attraverso i sintomi

 
Index del.icio.us


Giorgio Bonacini
ORMA E OMBRA DELL’ESPERIENZA



Le pagine di scrittura e segni che Bertollo organizza con grande senso dello spazio, intensa lucidità mentale e profonda capacità di significazione visiva, si inscrivono direttamente e perfettamente all’interno di quella mappa progettuale che si richiama ai concetti di poesia totale: teorizzata, indagata e praticata, con entusiasmo e lucidità, da Adriano Spatola. Una poesia di ricerca contemporanea che in Bertollo ha tanto più valore perché egli vi inserisce delle cellule di linearità pensante che indicano (ma non obbligano) un percorso: uno fra i tanti che si rendono possibili al lettore. Siamo quindi di fronte non solo a una poesia, ma a un’opera complessa che mette in campo, in primo luogo, la percezione della vista come “possibilità di lettura, ma non ancora capacità “; poi la voce (anche quella silenziosa di chi legge per sé), dove “vista e voce giocano con la loro influenza”; e, a un altro livello, il pensiero che ne sostiene la significazione e l’impianto globale in una “esperienza individuale che può diventare esperienza del linguaggio”; infine la segnicità pura che sembra urtare l’equilibrio, quando invece Io tiene stabilmente instabile “con il ritmo e il respiro, che discendono dal primo punto come eco”. L’autore, quindi, si affida a parole delineate e aggrappate a linee che divergono o convergono, vanno a zig zag, tratteggiano e si spezzano e sembrano proporre dei percorsi mentali in varie direzioni, che il lettore può decidere di seguire subito o in un secondo tempo, scegliendo in modo autonomo la propria via.

Il testo è allora disponibile ad affermare e afferrare un senso anche doloroso, non solo estetico, perché “si nasce da una ferita” e “ci si deve porre con la disponibilità di esserne i custodi”. Ed è sorprendente come, all’interno di questa sperimentazione totale, Bertollo attivi e incorpori tra le sue forme visive e sonore, nello spazio bianco della pagina (più che mai importante), l’accoglienza di un senso etico/poetico abitato da una lettura pensante, mai degradato a utilità, mai bloccato o afferrato o violato da un unico significato, iniziale o finale che sia. Il senso è sempre (ed ecco il “teatro” del titolo) re-interpretato e riconosciuto. Bertollo lo dice esplicitamente: “... gli elementi segnici e sonori si attivano, diventano Teatrino, esibizione della loro forma”: orma e ombra dell’esperienza. E infatti, la spazialità sonora, che si fa parola aperta, concede a chi legge le flessioni di un andamento che si trasforma (nella terza parte del testo) in un dialogo tra due corpi astratti, all’interno di stralci di realtà strappati e rimessi in scena. C’è, alla fine, una necessità di ricerca, nel mutamento poetico, tesa a fare di ogni scelta, di ogni sguardo sull’opera, una vertigine.


postfazione a "Il Teatrino della scrittura"




Armando Bertollo
"IL TEATRINO DELLA SCRITTURA / Attraverso i sintomi"
Sulla ‘chiarezza’ dei segni lineari


In queste pagine, il tentativo più ‘chiaro’ per ‘dare chiarezza’, sta nel loro aspetto visibile. In particolare nella presenza, come affioramento, delle tracce lineari. Le linee sono chiaramente rette, chiaramente spezzate, o curve. Questa ‘chiarezza’ della linea, questa ‘presenza’ stabilisce un contatto con modalità di pensiero tipicamente orientali. Il pensiero orientale, in particolare dell’estremo oriente, si fonda sulla relazione di segni non fonetici che strutturalmente corrispondono al concetto che esprimono: la linea continua è l’affermatività, il sì, ciò che dà, il maschile, il cielo, il chiaro; la linea spezzata è la ricettività, il no, la terra, il femminile, lo scuro come attrazione e attesa. In termini orientali la linea continua è ‘yang’, la spezzata è ‘yin’. ——— — — — questi due segni, che la nostra mentalità occidentale considera istintivamente per la loro opposizione, in realtà non si possono mai considerare singolarmente ma in perenne interazione e mutamento a rappresentare in modo essenziale la complessità dei fenomeni naturali e psichici, tra i quali c’è una stretta relazione di funzionamento, in quanto entrambi, la realtà delle ‘cose’ e la realtà della psiche, sono essenzialmente ‘natura’. Attraverso le varie combinazioni delle linee di principio ‘yang’ e ‘yin’ continue e spezzate, il pensiero orientale ci ha dato una spiegazione visibile della nostra condizione di impermanenza (mortale) instabile e precaria, in modo molto più aderente alla sua realtà profonda, rispetto ai tentativi razionali del pensiero greco che ha conosciuto i suoi esiti più importanti nello sviluppo della tecnica. Se la nostra modalità di pensiero procede per suddivisioni (anche se da Nietzsche in poi si è sviluppata una tendenza della filosofia che va verso il superamento dell’originario dualismo platonico, mi riferisco in particolare al pensiero ‘strutturalista’ e ‘poststrutturalista’) in oriente il problema viene risolto alla radice, considerando le opposizioni un campo di ‘forze’ inscindibile e in continuo riequilibrio. Ecco, nelle pagine del ‘Teatrino della scrittura’, ma anche in quelle della mia precedente pubblicazione ‘Ribeltà’, il testo, sempre soggetto all’opacità delle interpretazioni, si evolve in una struttura visuale che accoglie l’affioramento di linee come ‘verità visibili’, come ‘chiarezza’, uscita dalla strettoia del significato verbale. Lo spessore di questi segni, la loro lunghezza, la loro angolazione, la distanza e il rapporto tra loro e la parte tipografica verbale, non è mai casuale, ma frutto di una riflessione sulla struttura di ciò che pian piano, durante il mio fare, diventa visibile. Ciò che diventa la pagina, è allora una conformazione, una ‘gestalt’ precaria, che in questo ‘sostenersi’ precariamente, trova il suo senso, la sua verità. I segni, in altre parole, diventano gioco di forze (energia) visibile, del quale anche il testo verbale, come insieme a sua volta di segni, è parte. Pertanto ogni approccio a queste pagine di scrittura è lecito: quello di una lettura tradizionale del testo, quello di osservare semplicemente la loro struttura, quello di danzare, o spostarsi liberamente nella loro superficie tra lettura e visione.



Malo, Museo Casabianca 14 marzo 2010




JAlbum 7.3